Il nautofono è un avvisatore nautico, consistente nell'emissione di segnale sonoro composto da una nota singola, da utilizzarsi in mare in caso di nebbia o scarsa visibilità.
Esso viene anche installato sul molo di accesso ad un porto, specie nelle fasce costiere frequentemente soggette alla presenza di nebbia. Qualora posizionato su un molo, l'altoparlante del nautofono è ovviamente orientato verso il mare aperto; tuttavia, il segnale è udibile anche nell'entroterra ed in particolari condizioni, a distanze superiori a 3 miglia marine. La sequenza del segnale acustico, è identica a quella al segnale luminoso emesso dal faro, in codice Morse e corrisponde all'identificativo del porto.
Per sempre me ne andrà per questi lidi, Tra la sabbia e la schiuma del mare. L’alta marea cancellerà le mie impronte, E il vento disperderà la schiuma. Ma il mare e la spiaggia dureranno In eterno. Gibran Kahlil, 1926
Così soltanto all’orizzonte scorgi l’orlo turchino del mare. A destra e a sinistra è una distesa tutta abitata e popolosa. Goethe
Il granchio era in fin di vita Il granchio era in fin di forze eppure si scosse cercando di attingere a tutte le risorse, si aggrappò alle rocce, scivolò e si tirò di nuovo su ma le onde di carne di quel mare finito che é l’uomo, lo cinsero, e per lui fu la fine. Franz Kafka
Lieve la brezza, bianca la spuma volava, Mentre la scia ci seguiva: Per primi noi irrompevamo In quel mare silenzioso. Cadde la brezza e caddero le vele; Fu triste quanto più non si può dire; Parlavamo solo per levare Il silenzio dal mare. Tutto in un torrido cielo di rame Un sole di sangue a mezzogiorno Si ergeva a picco sull’albero maestro Non più grande della luna. Giorno dopo giorno, giorno dopo giorno, Restammo senza un soffio di vento, un movimento; Fermi, come nave dipinta In un oceano dipinto. Samuel Taylor Coleridge, 1798
"…si fingevano rientrati dalla prima uscita, e ora andavano rimediando smagliature e strappi, riguardando galleggianti, piombi, romanello e ami, ed esche di pesci e di lana, e ferri e aste di traffinere, come dovessero varare ancora, appena calato il sole, e varare armando con ogni tipo d’armamento, con ontro, feluca e traffinera, con palamitara e con mutulara, con acciara e con sciabica, con rete insomma a maglia larga e a maglia stretta, rete per pesce grosso e pesce fino, per pesce di passa e pesce allogato, per pesce di fondo e pesce di scoglio."
- Stefano D'Arrigo, Horcynus Orca (ed. Rizzoli) -
foto Gigliola Siragusa
Acqua, acqua in ogni dove / E non una goccia da bere. Samuel Taylor Coleridge
Tutti i fiumi corrono al mare, ma il mare non si riempie. Ecclesiaste
Le spugne crescono nel mare. Mi chiedo quanto più profondo sarebbe il mare se questo non accadesse. Steven Wright
Chi ha il dominio del mare ha il dominio di tutto. Temistocle
I mari sono la prova tangibile che Dio ha pianto della sua creazione. Paul Fort
Il mare é un antico idioma che non riesco a decifrare. Jorge Luis Borges
Il mare più bello è quello dove non navigammo. Nazim Hikmet
In un mare calmo ogni uomo è un pilota. John Ray
Quando un uomo trascorre la propria vita sul mare, dopo non riesce più ad adattarsi alla vita sulla terra. Samuel Johnson
Solo sul mare si é davvero liberi. Eugene O’Neill
Non puoi attraversare il mare semplicemente stando fermo e fissando le onde. Non indulgere in vani desideri. Rabindranath Tagore
E’ dolce, quando in alto mare i venti sconvolgono le onde, contemplare la lotta di un altro dalla terraferma. Lucrezio
Benchè l’uomo sia già composto per il novanta per cento di acqua, gli astemi non ne hanno ancora abbastanza. John H. Bangs
“Era una visione fantastica… le grandi creste dirompenti… il mare rigato di spruzzi volanti, senza un attimo di sosta”. Miles Smeeton
“…dopo un’onda, un’altra, cento, mille altre (…) la mia barca di riflesso le avverte e si inclina lasciandole passare…” Raffaele Brignetti
E’nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi finché u matin crescià da puéilu rechéugge fré di ganeuffeni e dè figge bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä F. De Andrè
E’ nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli emigranti della risata con i chiodi negli occhi finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere fratello dei garofani e delle ragazze padrone della corda marcia d’acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare
Il mare è l'immagine dell'inafferrabile fantasma della vita.(Herman Melville 1819-1891 scrittore americano)
Dopo l'istante magico in cui i miei occhisi sono aperti nel mare,non mi è stato più possibile vedere, pensare,vivere come prima. (Jacques-Yves Cousteau oceanografo francese)
Chi abbia avuto occasione di nuotare sotto la pioggia conosce la strana impressione di stare all’asciutto sotto la superficie e il timore di uscire per non bagnarsi. Un sommozzatore, a guardare in su quando piove, scorge un’infinità di mobili minuscoli spilli che traforano l’acqua. L’acqua dolce, lentamente mischiandosi all’acqua salata del mare, crea una zona di distorsione ottica nello strato superficiale, come raggi di calore dondolanti sulla terra arroventata. Nelle acque sotto costa, durante gli acquazzoni, abbiamo notato una straordinaria agitazione tra i pesci. Vanno matti per la pioggia. Quando cade, i più piccoli sfrecciano in tutte le direzioni e dal fondo escono saraghi solitari che si arrampicano e si tuffano, descrivendo incredibili acrobazie. Muggini e branzini volteggiano freneticamente sotto l’ebollizione della pioggia. Stanno ritti sulla coda con la bocca aperta, quasi per succhiare l’acqua dolce. Le giornate di pioggia in mare sono giorni di festa. Jacques Yves Cousteau
Lo scafo consunto e verdiccio della vecchia feluca riposa sul lido… sembra la vela mozzata che sogni ancora nel sole e nel mare. Il mare ribolle e canta… Il mare é un sogno sonoro sotto il sole d’aprile. Il mare ribolle e ride con le onde turchine e spume di latte e argento, il mare ribolle e ride sotto il cielo turchino. Il mare lattescente, il mare riluttante, che risa azzurre ride sulle sue cetre d’argento… Ribolle e ride il mare! …L’aria pare che dorma incantata nella fulgida nebbia del sole bianchiccio. Palpita il gabbiano nell’aria assopita e al tardo sonnolento volare, si spicca e si perde nella foschia del sole. Antonio Machado, 1917
Sono cittadino del piu’ bel paese del mondo. Un paese dalle leggi dure ma semplici, che non bara mai, immenso e senza frontiere, dove la vita scorre al presente. In questo paese senza limite, in questo paese di vento, di luce e di pace, non c’é alcun Grande Capo che il Mare. Dio, come é bello ritrovare il largo e il suo ritmo tranquillo di vele e di scotte, vivere come un animale riscaldato dal sole, riempirmi gli occhi di migliaia di miglia davanti all’asta del fiocco, puntata verso l’infinito, solo con la mia barca, solo con il vento e le onde, solo con l’orizzonte. “Ho sempre avuto la sensazione che le lunghe traversate comportano in me una profonda pulizia di tutte le sporcizie accumulate durante un soggiorno a terra: appena persa di vista la costa, l’uomo, solo di fronte al suo creatore, non puo’ restare indifferente alle forze della natura che lo circondano. Il suo corpo e il suo spirito, liberati dagli attacchi e dalle schiavitu’ terrestri, possono ritrovare la loro essenza e la purezza negli elementi naturali, che gli antichi identificavano come loro dei. Il Vento, il Sole e il Mare: la Trinità del Dio dei marinai”. Bernard Moitessier
E’ ora di stendere le mie bianche vele alla leggera brezza di sud-est che mi annuncia essere giunta l’ora di partire ancora una volta verso quella linea dell’orizzonte che la mia barca non raggiungerà mai. Ma dietro quell’orizzonte ci sono altre terre, altri amici che vorrei conoscere meglio prima di doverli lasciare. Destino del marinaio, sempre insoddisfatto, perché pensa che, sull’altra riva, sempre più lontano, debba trovarsi quello che cerca. Bernard Moitessier, 1960
Vorrai certamente sapere perché non sono rientrato in Europa. Il motivo é che nel mondo moderno ci sono troppi dei. Moravia ha mille volte ragione quando scrive che la misura umana é l’universale ed il particolare, e non il gigantesco ed il minimo. Che cosa avrei trovato in Europa? Soltanto il gigantesco che stritola l’uomo ed il minimo che l’abbrutisce. Ecco perché non sono rientrato in Europa. Per non ritornare in Europa, avrei potuto far vela verso le Antille o verso Dakar. Non l’ho fatto perché questi posti, per il momento, non mi attirano, ma soprattutto perché in mare ero felice, perché avevo trovato la pace del mio spirito, una pace totale, profonda, troppo preziosa per dover rischiare di perderla fermandomi “prima del tempo giusto”. Non potevo sopportare l’idea che il mio viaggio dovesse concludersi poche settimane dopo il Capo Horn. Il desiderio di continuare verso il Pacifico era sorto in me molto tempo prima del Capo Horn. Ma era soltanto un desiderio, qualcosa maturato dallo spirito e che la mia mente accarezzava. Soltanto dopo l’Horn, dopo l’immensa purezza dell’Horn, il desiderio di proseguire, di andare molto più lontano divenne una sorta di esigenza materiale, piuttosto che una decisione pura e semplice. Non si trattava, qui, di arrivare alla fine di un viaggio, ma di giungere “alla fine di me stesso”. Dovevo proseguire, era necessario che rimanessi più a lungo nelle alte latitudini, dove l’essere umano si trova senza forze, smarrito per la consapevolezza dei suoi limiti, ma dove trova anche coscienza della sua grandezza. In quelle latitudini, sentivo che il mio essere si rimpiccioliva e s’ingrandiva, che lo spirito é carne, e che la carne é spirito. Ecco perché, quando all’alba salivo in coperta, mi piaceva urlare la mia gioia di vivere, mentre contemplavo il cielo che andava rischiarandosi su quel mare colossale per forza e per bellezza, e che, a volte, cercava di annientarmi. Per questo ho continuato. O per lo meno credo sia questo il motivo. Certo, spesso ero preso da un forte smarrimento di fronte ai potenti colpi di vento, alle ondate gigantesche, alle nuvole gravide di pioggia che si rincorrevano a pelo d’acqua portando con loro tutta la tristezza del mondo e tutto il suo sconforto. Ma dovevo continuare lo stesso; forse perché quando si comincia una cosa, si deve condurla a termine, anche se, a volte non se ne comprendono le ragioni. Ma che cosa ti vado dicendo? Non sono ragioni sufficienti e validissime i cieli limpidi, i tramonti color del sangue e della vita in un mare scintillante di bellezza? Come spiegare tutto ciò? Si può forse spiegare che non sono le stelle, il mare, il vento in se stessi a procurarci l’estasi ed il sogno, ma che invece sono i nostri sensi e la nostra anima a cercare tutto ciò? E’ difficile dare una spiegazione alla mia decisione di continuare il viaggio, ma un motivo doveva esserci, e questo motivo aveva un valore immenso, immensamente più grande del Globo d’Oro e delle 5.000 sterline del “Sunday Times”. Bernard Moitessier, 1969
“non si chiede a un gabbiano addomesticatoperché ogni tanto provi il bisogno di sparire verso il mare aperto.Ci va e basta.E’ una cosa semplice come un raggio di sole, normale come l’azzurro del cielo.” Bernard Moitessier
“Il mare é calmo, molto calmo e l’acqua, lungo il bordo, canta su una sola nota” B. Moitessier
E’ notte, una notte piena di stelle. Il mio corpo sfinito riposa… ma io sono con tutto me stesso nell’attrezzatura e nelle vele per ascoltare il mare… palpare il vento che abbonaccia e mi dice che la notte sarà veramente bella”. Bernard Moitessier
Qui finiva la terra: le estreme dita, nocchiute e reumatiche, Rattrappite sul nulla. Ammonitori Neri dirupi, e il mare che esplode Senza fondo, o alcunché d’altro al di là , Bianco di visi annegati. desso é soltanto tetro, un ammasso di rocce - Soldati sbandati di vecchie, confuse guerre. Il mare gli cannoneggia gli orecchi, ma loro non mollano. Altre rocce nascondono i loro rancori sott’acqua. Il precipizio ha un orlo di stelle, trifogli e campanule Ricamate si direbbe da dita, prossime a morte, Piccole al punto che quasi sfuggono alle brume. Le brume sono parte dell’antico armamentario - Anime, arrotolate nel cupo lamento del mare. Cancellano le rocce, poi le rifanno alla luce. Salgono senza speranza, come sospiri. Ci passo in mezzo, mi riempiono la bocca di cotone. E quando me ne libero sono imperlata di lacrime. Nostra Signora dei Naufraghi va verso l’orizzonte, Le sue vesti di marmo sventolanti all’indietro come ali. Assorto a lei s’inginocchia un marinaio di marmo A cui s’inginocchia la donna vestita di nero Pregando al monumento del marinaio che prega. Nostra Signora dei Naufraghi é tre volte il naturale, E dolci le sue labbra di celestialità. Non sente quel che dicono il marinaio o la donna - E’ tutta presa dalla bella informità del mare. Nastri color gabbiano svolazzano alla brezza Accanto ai chioschi di cartoline illustrate. I contadini li ancorano a conchiglie. “Comprate” Dicono “i bei gioielli che il mare nasconde, Piccoli gusci che fanno bamboline e collane. Non vengono dalla Baia dei Morti laggiu’, Ma da un altro posto, azzurro e tropicale, Dove non siamo mai stati. Comprate le nostre frittelle, mangiatele ancora calde”. Sylvia Plath
Passa la nave mia colma d’oblio per aspro mare, a mezza notte, il verno, enfra Scilla e Caribdi; et al governo siede ‘l signore, anzi ‘l nemico mio; a ciascun remo un penser pronto e rio che la tempesta e ‘l fin par ch’ abbi a scherno; la vela rompe un vento umido, eterno di sospir, di speranze e di desio; pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni bagna e rallenta le già stanche sarte, che son d’error con ignoranzia attorto. Celansi i duo mei dolci usati segni; morta fra l’onde é la ragion e l’arte: tal ch’ i’ ‘ncomincio a desperar del porto. Francesco Petrarca
Come i delfini, emergendo dal mare quando il cielo é sereno, a frotte volteggiano intorno alla nave lanciata in corsa, disponendosi ora davanti, ora di dietro, ora lungo i fianchi, gioia per i naviganti, così le Nereidi, balzando dal basso verso l’alto, tutte insieme volteggiavano intorno alla nave Argo, e Teti guidava la rotta. Apollonio Rodio, III secolo a.C.
Tutta la terra é circondata dall’acqua salata dell’Oceanocosì come un’isoletta leva il capo dal ceruleo mare. Rufo Festo Avieno, IV secolo d.C.
Uomo libero, tu amerai sempre il mare! Il mare é il tuo specchio; contempli la tua anima Nello svolgersi infinito della sua onda, E il tuo spirito non é un abisso meno amaro. Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine; L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore Si distrae a volte dal suo battito Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia. Siete entrambi tenebrosi e discreti: Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi, O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti! E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli Vi combattete senza pietà nè rimorsi, Talmente amate la carneficina e la morte, O eterni rivali, o fratelli implacabili! Charles Baudelaire, 1857
Ondeggia, Oceano nella tua cupa e azzurra immensità A migliaia le navi ti percorrono invano; L’uomo traccia sulla terra i confini, apportatori di sventure, Ma il suo potere ha termine sulle coste, Sulla distesa marina I naufragi sono tutti opera tua, E’ l’uomo da te vinto, Simile ad una goccia di pioggia, S’inabissa con un gorgoglio lamentoso, Senza tomba, senza bara, senza rintocco funebre, ignoto. Sui tuoi lidi sorsero imperi, contesi da tutti a te solo indifferenti Che cosa resta di Assiria, Grecia, Roma, Cartagine? Bagnavi le loro terre quando erano libere e potenti. Poi vennero parecchi tiranni stranieri, La loro rovina ridusse i regni in deserti; Non così avvenne, per te, immortale e mutevole solo nel gioco selvaggio delle onde; Il tempo non lascia traccia sulla tua fronte azzurra. Come ti ha visto l’alba della Creazione, così continui a essere mosso dal vento. E io ti ho amato, Oceano, e la gioia dei miei svaghi giovanili, era di farmi trasportare dalle onde come la tua schiuma; fin da ragazzo mi sbizzarrivo con i tuoi flutti, una vera delizia per me. E se il mare freddo faceva paura agli altri, a me dava gioia, Perchè ero come un figlio suo, E mi fidavo delle sue onde, lontane e vicine, E giuravo sul suo nome, come ora. George Byron, 1812
I miei cofanetti sono i gusci delle ostriche, nei quali tengo le mie perle orientali; per aprirli uso la marea, chiave che spalanca i gusci delle ostriche, dopodichè prendo quelle perle orientali e faccio corone; e indosso il semplice corallo che arrossisce al contatto dell’aria. Siedo a cantare sulle onde d’argento e allora i pesci stanno ad ascoltare: poi, sedendo su una roccia, mi pettino i capelli con una lisca di pesce; nel frattempo Apollo, coi suoi raggi, me li asciuga dai rivoletti d’acqua. La luce fa splendere la superficie dell’acqua e fa uno specchio dell’immenso mare: così quando nuoto in alto sulle acque, mi vedo mentre scivolo già: ma quando il sole comincia a scottare torno alle mie acque e mi tuffo sino in fondo: allora le acque scorrono sulla mia testa in onde increspate, a cerchi concentrici, e così io sono incoronata dalle acque. Margaret Cavendish, 1668
Una vera mostra d’orticoltura, una serra di piante preziose. Tutte queste volute colorate che sulla terra potrebbero chiamarsi azalee, ibisco, margherite di prato e felci, hanno qui un solo nome: coralli. Sono talmente stupito che mi immergo per toccare ogni efflorescenza. Voglio rendermi conto e accarezzo colle dita una massa rotonda, tocco il fusto cesellato di un corallo colonnare, sfioro il ventaglio spiegato di un polipaio scarlatto, schivo le forme più minacciose e scatenate. E’ una giungla, a cui non mancano le liane, sorgenti dal fondo come catene metalliche rugginose, che scambiamo là per là con fili di ferro naufragati, e invece sono speciali gorgonie, le virgolarie. Non penso più ai rischi in questo universo pericoloso. Ho dimenticato di seguire i miei compagni e resto solo nell’acqua luminosa, tuffandomi verso queste strane forme di vita e resistendo fino al limite della mia respirazione, per risalire soltanto a riprender fiato. Per il momento sono incapace di riflettere, sono soltanto un occhio che registra senza legami col cervello. Osservo le forme: cornetti arricciati, ombrelli e piattaforme circolari, vallette, blocchi, colonne e vertici azzurri. Il bianco campeggia, il violetto palpita, il rosso esplode, il bruno riposa e il giallo rischiara. E’ una tavolozza insensata. Imparerò a poco a poco i nomi di queste forme strane. Cespugli di spine, le seriatopore folte, le madrepore sboccianti in corimbi, i nastri annodati a cocche gonfie delle eufille, le strane dita a salsicciotto degli stilofori ove luccicano migliaia di margherite rosate, le masse arrotondate delle galassee che la natura ha trapuntato di margherite radianti e piatte e di tulipani slanciati. Questi volanti increspati a meandri enormi sono i mussa e le ulofillie. Le fioriture d’ortensia si chiamano pavonie; le foglie serrate in forma di palla, e punteggiate da mille fori regolari, simili a tessuti martellati sono le turbinarie. La loro disposizione a rami, arbusti, ventagli, a fasci, varia all’infinito. Vi sono alberi a diramazioni mostruose, e gracili mazzolini. Le madrepore dei faraoni, le corna d’alce e coralli di fuoco che ci irriteranno dolorosamente il dorso e le gambe, sbocciano qui come gli alberi di nocciolo e di rose canine nei nostri sentieri. Potenti massi rotondi si staccano, punteggiando le strade delle nostre passeggiate subacquee di strani paracarri corallini. Sembra la superficie operata di un velluto o di una pelle, sono le porite e le goniopore. Il loro disegno ricorda pure, tratto per tratto, le circonvoluzioni tormentate del cervello, ed é facile riconoscere le meandrine e i famosi cervelli di Nettuno. E’ un palazzo orientale, animato da un mercato persiano in cui vanno e vengono i compratori, i pastori e i mendichi. I pesci pappagallo sembrano provinciali loquaci e riccamente vestiti. Prigioniere del loro canale di pietra, le murene si stirano con atteggiamenti languidi da schiave. Qual é il sultano abbastanza ricco da poter riunire tante odalische nel suo harem: donzelle di corallo dai toni caldi, pesci angelo dall’ali leggere come sciarpe? Di tanto in tanto, un gruppo serrato e cupo di balestra, poliziotti del mare, passano neri, con un solo punto bianco, all’inseguimento di una schiera di carangidi festosi e agili. Questi ultimi debbono avere un certo numero di pesciolini sulla coscienza e parecchi danni ai coralli. E’ un indescrivibile ribollire di vita silenziosa, da ogni vertice di madrepora sboccia e si ritrae un’infima forma d’esistenza, il polipo. Come una città dai quartieri ben separati, ogni massiccio ha qui la sua popolazione, abituale e consentita: in questa zona vi sono i pesci farfalla, dal becco aguzzo, e la livrea gialla a incrociature brune e nere; cento metri più lontano, l’angolo é riservato agli “angeli francesi” blu di Prussia intenso, illuminati da sottili tocchi color latte. Vi sono poi dei pesci chirurgo in così gran numero, che pare si siano riuniti per qualche congresso. Sotto un ombrello di corallo rutilante, un olocentro cardinale, pesce corallo, dall’occhio immenso, sembra assorto nell’attesa di un appuntamento con una bella svagata. Tre cernie scure fanno tranquille evoluzioni, a dieci metri di fondo, come i maestri di scuola, durante una ricreazione, passeggiano cautamente, discutendo. E’ tardi, e gli ultimi raggi di sole penetrano a stento nelle masse liquide, tingono l’acqua di un viola cupo. Tra qualche istante sarà notte, ma non riusciamo a staccarci da questo luogo affascinante. Intravedo ancora un gruppo splendido di forme e di colori, e mi immergo un’altra volta per osservare da vicino questa sfera di piume e di pennacchi. Il colore base é il rosso rosato, vivacemente rigato a bande nere e bianche. Arrivo a rasentare lo strano gomitolo multicolore, tendo la mano ma la ritiro tosto, trattenuto da un oscuro presentimento. Ed ecco che la massa sorprendente si sposta lenta, e riconosco improvvisamente la testa di drago deforme, irta di punte e sormontata di un piumetto spinoso, le immense spine della dorsale raggiata, le pinne pettorali stese come le ali di un pappagallo, e le pelviche, formanti con le anali una vera e propria deriva a questo veliero di fuoco. E’ il “Pterois volitans” chiamato pure pesce pollo, pesce drago, pesce leone, pesce diavolo. Questo meraviglioso prodotto della natura tropicale così prodiga di colori e di forme, secerne e inietta un potente veleno dalle sue punte aguzze. Gli arabi ne hanno un terrore singolare. Dicono che le ferite prodotte da questo pesce sono atrocemente dolorose e spesso fatali e lo chiamano il pesce della morte. Sento mancare l’ossigeno e penso che non potrà resistere ancora a lungo. Ma il contrasto tra l’uomo fragile, dalle carni opache, e i toni violenti e folgoranti dell’animale velenoso, e così insolito, che prolungo l’immersione. Dove potremmo trovare sulla terra, nel regno animale, trappole cosi attraenti? Il serpente è velenoso, e nello stesso tempo produce un senso di repulsione. L’uccello del paradiso è un fiammeggiare di colori, ma non nasconde veleno. Soltanto il mondo dei fiori, con la dionea ammazzamosche e la nepente dalle ascidie carnivore, sa attrarre, e poi uccidere dopo aver sedotto.Nel mondo delle acque si scoprono, riuniti bizzarramente dalla natura, la bellezza stupenda e il rischio fatale. Ma non resisto più, le tempie mi battono e sento la gola serrata da un’angoscia insopportabile. Debbo risalire. Un ultimo colpo d’occhio mi rivela adesso il più straordinario spettacolo che si possa immaginare. Di sotto alle ali spiegate del pesce meraviglioso, escono a frotte dei minuscoli vermi alati che formano intorno all’animale una traslucida nube vivente. Fedeli riproduzioni della splendida caravella, mille piccole creature si staccano dai fianchi della madre, timorose come pulcini uscenti dalle piume arruffate delle galline di Bramaputra. Non manca loro nulla dell’abbozzo originale, ma il pittore dell’universo subacqueo non ha completato il suo lavoro, ed essi attendono i loro colori, come i fanciulli i primi pantaloni lunghi. Gli strani piccoli pesci sono diafani, e le ultime luci del giorno giocano attraverso il loro corpo di cellofane. Da grandi, saranno coloratissimi. Ora devono attendere come una ricompensa i toni magici allo schiudersi della pubertà . Risalgo alla superficie. Aspiro violentemente e vado quasi a cozzare contro Filippo, i cui occhi, dietro la maschera, riflettono lo stesso stupore dei miei. Gilbert Doukan, 1957
M’affaccio alla finestra, e vedo il mare: vanno le stelle, tremolano l’onde. Vedo stelle passare, onde passare: un guizzo chiama, un palpito risponde. Ecco sospira l’acqua, alita il vento: sul mare è apparso un bel ponte d’argento. Ponte gettato sui laghi sereni, per chi dunque sei fatto e dove meni? Giovanni Pascoli, 1892
“Tutte le strade finiscono al mare,” gli dicevo, “dove ci sono i porti. Di là ci s’imbarca e si va nelle isole, dove gli stradoni riprendono.” Cesare Pavese, 1946
Tuo padre giace a più di nove metri di profondità. Le sue ossa sono diventate corallo; I suoi occhi ora sono perle. Non c’é in lui parte alcuna che non si trasformi per opera del mare In qualcosa di ricco e di meraviglioso Le ninfe del mare di continuo suonano per lui: Ding-dong. William Shakespeare, 1611
Soltanto il mare gli brontolava la solita storia la sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmen lui, ed é di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di la dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico. Giovanni Verga, 1881
L’oceano sonoro Palpita sotto l’occhio Della luna in lutto E palpita ancora, Mentre un lampo Vivido e sinistro Fende il cielo di bistro D’un lungo zigzag luminoso, E che ogni onda In salti convulsi Lungo tutta la scogliera Va, si ritira, brilla e risuona. E nel firmamento, Dove erra l’uragano, Ruggisce il tuono Formidabilmente. Paul Verlaine, 1866
– Voi amate il mare, capitano? Si! l’amo! Il mare é tutto. Copre i sette decimi del globo terrestre; il suo respiro é puro e sano; é l’immenso deserto in cui l’uomo non é mai solo, poiché sente fremere la vita accanto a se. Il mare non é altro che il veicolo di un’esistenza straordinaria e prodigiosa; non é che movimento e amore, é l’infinito vivente, come ha detto uno dei vostri poeti. Infatti, signor professore, la natura vi si manifesta con i suoi tre regni: minerale, vegetale, animale. Quest’ultimo vi é largamente rappresentato da quattro gruppi di zoofiti, da tre classi di articolati, da cinque classi di molluschi, da tre di vertebrati, dai mammiferi, dai rettili e dalle innumerevoli legioni di pesci, che contano oltre tredicimila specie, di cui un decimo soltanto appartiene all’acqua dolce. Il mare é il grande serbatoio della natura, é dal mare che il globo é, per così dire, incominciato, e chissà che non finisca in lui. Ivi é la calma suprema. Il mare non appartiene ai despoti. Alla sua superficie essi possono ancora esercitare diritti iniqui e battersi, divorarsi, recarvi tutti gli orrori della terra; ma trenta piedi sotto il suo livello, il loro potere cessa, la loro influenza si estingue, tutta la loro potenza svanisce! Ah! signore, vivete, vivete nel seno del mare! Qui soltanto é indipendenza, qui non riconosco padroni, qui sono libero! Jules Verne, 1870
Al sorgere del vento subito le onde del mare scomposte cominciano a gonfiarsi, e secco sugli alti monti un fragore si fa udire, o di lontano risonanti le spiagge rimbombano e il sibilo dei boschi si fa più intenso. Ormai i flutti non sono più governati dalle ricurve carene, quando veloci i merghi lasciano l’alto mare e portano i loro gridii alle spiagge, e quando le folaghe marine giocano all’asciutto, e l’airone, sorvolando le nuvole alte, lascia le ben note paludi. Virgilio, 30 a.C.
L’Oceano intanto,sorgendo, l’Aurora lasciò. Virgilio, 19 a.C.
Il mare mi apparve; che era infinito e tranquillo. Era azzurro infinito, e nel lontano grandi strisce d’argento lo imbiancavano lunghe fino agli estremi orizzonti. La luce saliva dal mare, scendeva dal cielo, brillava nell’aria. Il mare era quieto e sicuro, solo un tremante margine di spuma sul lido tradiva il suo piacere di vivere. Azzurro e luce volavano sopra la terra. Il mare e il cielo respiravano luce e calore e ne inondavano il mondo. I miei occhi si riempirono di lacrime tenere. M’appoggiai allo spigolo di un muro. Ero nell’ombra, l’ombra del muro, che si stendeva fino a due passi da me stampata nera e diritta nella rena brillante: e oltre quella linea la rena continuava nella luce per un vasto spazio fino a un orlo di ghiaia dove finisce la terra. Perché io sostavo così dentro quell’ombra del muro, per questo il mare non mi aveva ancora veduto. Allora mi staccai dal muro e uscii all’aperto in mezzo a tutta la luce in faccia al mare. Ed ecco di colpo s’oscurò rabbrividendo il sole e un tremito scosse il mondo come un gran terremoto dell’aria; d’improvviso tutto fu grigio e tempesta intorno a me, ed era spaventevolmente sconvolta la faccia del mare. Una ruga enorme d’un tratto l’avea tutta solcata dalla riva all’orizzonte come una voragine torbida, e poi altre cento o mille rughe lo frantumarono; caverne si scavarono e montagne s’arrampicarono: tutto si riaccavallò il mare di acque immerse che lo sconquassavano schiumando con una gran rabbia in tutte le direzioni. Le onde si mescolavano in alto con le nubi e riempivano l’aria di grida terribili correndo fragorosamente a rovesciarsi sempre più cavernose e colleriche contro la spiaggia: l’aria era piena di gelo e la sbattevano i venti. Anche il cielo era gonfio di nuvole e rabbioso e nero, perchè il cielo non é che la fronte espressiva del mare. Io fui subito molto contento che il mare mi trattava a quel modo. S’egli mi avesse accolto con indifferenza, o con una fredda e signorile cortesia come fa con certa gente, oppure – e ora confesso che questa era, fin dall’ora della mia partenza sul treno, il mio segreto timore – avesse addirittura finto di non riconoscermi, credo sarei morto dal dispiacere e dall’umiliazione. Invece il mare appena mi ebbe visto si corrucciò e m’aggredì con urli e minacciosi improperi, perchè mi voleva ancora bene, come lui sa volere quando trova qualcuno che gli va a genio. Perciò il mio cuore si gonfiò di gioia a quell’accoglienza iraconda. Non alzai verso lui le braccia, per un mio vecchio pudore dei gesti fatti; e nemmeno gli dissi nulla: neppure una parola. Credo che gli sorrisi. Massimo Bontempelli, 1925
Spesso é un mare, la musica, che mi prende ogni senso! A un bianco astro fedele, sotto un tetto di brume o nell’etere immenso, io disciolgo le vele. Gonfi come una tela i polmoni di vento, varco su creste d’onde, e col petto in avanti sui vortici m’avvento che il buio mi nasconde. D’un veliero in travaglio la passione mi vibra in ogni intima fibra; danzo col vento amico o col pazzo ciclone sull’infinito gorgo. Altre volte bonaccia, grande specchio ove scorgo la mia disperazione! Charles Baudelaire
E un’aura dolce movendo quei fiori e gli odori veniva già dal mare; nel mar quattro candide vele andavano andavano cullandosi lente nel sole, che mare e terra e cielo sfolgorante ci confondeva. Giosué Carducci, 1877
La lingua non é sufficiente a dire e la mano a scrivere tutte le meraviglie del mare. Cristoforo Colombo, 1492
La vera pace di Dio comincia in qualunque luogo che sia mille miglia distante dalla terra più vicina. Joseph Conrad, 1898
Quasi fosse troppo grande e troppo potente per le virtù comuni, l’oceano ignora compassione, fede, legge, memoria. La sua incostanza può essere mantenuta conforme ai propositi umani solo con una risolutezza indomita, e con una vigilanza insonne, armata, gelosa, in cui, forse, c’é sempre stato più odio che amore. Odi et amo può ben essere la professione di fede di coloro i quali coscientemente o ciecamente hanno consegnato la propria esistenza al fascino del mare. Tutte le passioni tempestose dell’umanità quando era giovane, l’amore della rapina e l’amore della gloria, l’amore dell’avventura e l’amore del pericolo, insieme con il grande amore dell’ignoto e i vasti sogni di dominio e di potenza, sono passati come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare alcun segno sulla faccia misteriosa del mare. Impenetrabile e senza cuore, il mare non ha dato nulla di se stesso a coloro che ne hanno corteggiato i precari favori. Diversamente dalla terra, non si può soggiogarlo a nessun prezzo di pazienza e di fatica. Benchè siano tanti coloro che il suo fascino ha adescato e condotto a una morte violenta, la sua immensità non é mai stata amata come sono state amate le montagne, le pianure, persino il deserto. Joseph Conrad, 1905
Le stelle spuntarono innumerevoli nella notte chiara e riempirono tutta la volta del cielo. Scintillarono come cose vive sul mare e avvolsero tutt’intorno nella sua corsa la nave, più penetranti degli occhi fissi di una folla attenta ed imperscrutabile come sguardi umani.La traversata era cominciata e la nave, come un frammento staccato dalla terra, correva solitaria e rapida come un piccolo pianeta. Intorno ad essa gli abissi del cielo e del mare si univano in una irraggiungibile barriera. Una grande solitudine sembrava avanzare tutt’intorno con la nave, sempre mutevole e sempre eguale ed eternamente monotona ed imponente. Di tanto in tanto un’altra vela bianca errante carica di vite umane appariva lontano e spariva diretta verso il suo destino. Il sole dardeggiava la nave coi suoi raggi tutto il giorno e ogni mattina riapriva su di essa il rotondo occhio ardente pieno di curiosità insoddisfatta. Essa aveva il suo destino, viveva della vita di quegli esseri che si muovevano sopra i suoi ponti e come la terra che l’aveva confidata al mare trasportava un intollerabile carico di speranze e di rimpianti. Nel suo seno vivevano la verità timida e la menzogna audace; e come la terra essa era inconscia, bella a vedere e condannata dagli uomini ad un ignobile fato. L’augusta solitudine del suo cammino conferiva dignità al meschino scopo del suo pellegrinaggio. Essa filava schiumeggiando verso il sud come guidata dal coraggio di un’alta impresa. La ridente immensità del mare rimpiccoliva la misura del tempo. I giorni volavano uno dietro l’altro rapidi e luminosi come il guizzare di un faro, le notti brevi e piene di avvenimenti parevano fuggevoli sogni. Gli uomini se ne stavano raggomitolati ai loro posti ed ogni mezz’ora la campana di bordo regolava la loro vita di incessante lavoro. Notte e giorno la testa e le spalle d’un marinaio si profilavano in alto a poppa contro il sole o il cielo stellato immobili sopra la mobile ruota del timone. Le facce cambiavano succedendosi l’una dopo l’altra; facce giovani, barbute, torve, serene o corrucciate; ma tutte fatte rassomiglianti dal mare che affratella, tutte con la stessa espressione attenta degli occhi fissi a scrutare la bussola o le vele. Joseph Conrad, 1898
La vera pace di Dio comincia in qualunque luogo che sia mille miglia distante dalla terra più vicina. Joseph Conrad, 1898
“una nave in darsena, circondata dalle banchine e dai muri, ha l’apparenza di una prigioniera che medita sulla libertà , con la tristezza di uno spirito libero, messo a freno” Joseph Conrad
“Tutto si può trovare in mare secondo lo spirito che guida la ricerca” Joseph Conrad
“La nave dormiva. Il mare si stendeva lontano, immenso e caliginoso, come l’immagine della vita, con la superficie scintillante e le profondità senza luce” Joseph Conrad
“L’azzurra distesa del Mediterraneo, incantatore e ingannatore di uomini audaci, manteneva il segreto del suo fascino… sotto la meravigliosa purezza del cielo al tramonto” Joseph Conrad
MARZO 1769 Mercoledì, prima parte della giornata vento teso e per il resto vento moderato e tempo sereno. Il risultato delle osservazioni fatte é longitudine 110° 33′ Ovest da Greenwich, che va perfettamente d’accordo con la longitudine data dalla stima da Capo Horn: il collimare delle due longitudini dopo una corsa di seicentosessanta leghe é sorprendente e veramente inaspettato, ma serve a dimostrare, insieme alle prove fatte quando il tempo lo permetteva, che non abbiamo incontrato nessuna corrente che abbia influito sulla nave da quando siamo entrati in questi mari: e questo é segno che non siamo passati vicino a terre di notevole estensione, dato che vicino a terra si trovano normalmente delle correnti: si sa bene che sul lato orientale del continente, nel Mare del Nord, incontriamo correnti a più di cento leghe da terra, e persino nel mezzo dell’Oceano Atlantico fra l’Africa e l’America vi sono sempre delle correnti; perciò non vedo perchè non ci dovrebbero essere correnti in questo mare se si suppone che esistano un continente o delle terre non molto ad Ovest da noi, come alcuni hanno immaginato; e se mai questa terra fu vista, non possiamo esserne molto distanti, poichè ormai siamo cinquecentosessanta leghe ad Ovest della costa del Cile. James Cook, 1769
Nella cala tranquilla scintilla, intesto di scaglia come l’antica lorica del catafratto, il Mare. Sembra trascolorare. S’argenta? s’oscura? A un tratto come colpo dismaglia l’arme, la forza del vento l’intacca. Non dura. Nasce l’onda fiacca, sùbito l’ammorza. Il vento rinforza. Altra onda nasce, si perde, come agnello che nasce nel verde: un fiocco di spuma che balza! Ma il vento riviene, rincalza, ridonda. Altra onda s’alza, nel suo nascimento più lene. Palpita, sale, si gonfia, s’incurva, s’allunga, propende. Il dorso ampio splende come cristallo; la cima leggera s’arruffa come criniera nivea di cavallo. Il vento la scavezza. L’onda si spezza, precipita nel cavo del solco sonora; spumeggia, biancheggia, s’infiora, odora, travolge la cuora, trae l’alga e l’ulva; s’allunga, rotola, galoppa; intoppa in altra cui ’l vento diè tempra diversa; l’avversa, la salta, la sormonta, vi si mesce, s’accresce. Di spruzzi, di sprazzi, di fiocchi, d’iridi ferve nella risacca; par che di crisopazi scintilli e di berilli vividi a sacca. 0 sua favella! Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta, accorda, discorda, tutte accoglie e fonde le dissonanze acute nelle sue volute profonde, libera e bella, numerosa e folle, possente e molle, creatura viva che gode del suo mistero fugace. E per la riva l’ode la sua sorella scalza dal passo leggero e dalle gambe lisce, Aretusa rapace che rapisce le frutta ond’ha colmo suo grembo. Subito le balza il cor, le raggia il viso d’oro. Lascia ella il lembo, s’inclina al richiamo canoro; e la selvaggia rapina, l’acerbo suo tesoro oblò a nella melode. E anch’ella si gode come l’onda, l’asciutta fura, quasi che tutta la freschezza marina a nembo entro le giunga! Musa, cantai la lode della mia Strofe Lunga. Gabriele D’Annunzio, 1904